Ci sono libri che chiamano.
Arrivano. Li esponi. E li lasci lì.
Poi torni. Li riguardi e li riposi.
Poi entra qualcuno. Prende in mano un
libro, tu alzi lo sguardo e pensi secondo me se lo compri fai bene.
Anche se del libro non sai nulla, non sai chi l'ha scritto, non sai
di cosa parla.
La copertina mi ha incantato.
E così l'ho letto.
Questo libro è una mescolanza squisita
tra la cruda e dura realtà di una cittadina della provincia
americana degli anni cinquanta e l'essenza più amara e sottile delle
migliori fiabe antiche.
E' un libro spiazzante e che si svela
pagina per pagina. Con ritmo lento ma inesorabile.
A partire dal titolo enigmatico (boy –
ragazzo, snow – neve, bird – uccello) il testo evolve per colpi
di scena al rallenty. Con un'altissima condensazione di argomenti
(violenza famigliare, disagio sociale, integrazione, rapporti
madre-figlia, rapporti uomo-donna, perdono...) intrecciati l'uno
all'altro di generazione in generazione. Come fossero argomenti
ancestrali, sondati dalle tre donne protagoniste (boy, snow, bird) in
modo naturale, vivendo.
Costruito per spiazzare il lettore, per
farlo entrare nei meccanismi dell'ovvietà, per poi riannodarlo ai
propri pregiudizi, è un libro che trascina dentro e che fa in modo
che il lettore sia egli stesso un pezzo del racconto, non a caso lo
specchio è l'oggetto simbolo del testo.
Come tutte le favole che si rispettino,
poi, finisce aprendosi ma lasciando lo spazio per la speranza,
perché: “Il bello delle soluzioni semplici è che funzionano.”
Nessun commento:
Posta un commento