20151027

LA VITA COME UN ROMANZO RUSSO di Emmanuel Carrère - recensione di Sara Merighi

LA VITA COME UN ROMANZO RUSSO
Emmanuel  Carrère
Einaudi editore

Se qualcuno mi domandasse qual'è il mio autore preferito non saprei rispondere.
Ma se mi chiedessero, invece, quali sono i miei quindici autori preferiti probabilmente, ad oggi, tra questi ci metterei Emmanuel Carrère.
Quest'estate, a breve distanza l'uno dall'altro, mi è capitato di leggere "Il Regno" (Adelphi, 2015), rileggere "L'avversario" ( Einaudi, 2000) e divorare "La vita come un romanzo russo" ( Einaudi, 2009) e mi è accaduta una cosa strana, rara. 
Senza mai averlo neanche incontrato, sono arrivata a provare una familiarità, un'intimità, una vicinanza quasi amicale con questo scrittore tanto sofisticato quanto spiazzante.
Intellettuale francese, scrittore, sceneggiatore di serie televisive e regista così stimato da essere stato anche presidente della giuria al Festival di Cannes, Emanuel Carrère ha, nei suoi libri, un modo di scrivere o meglio una cifra stilistica, come si dice di solito, che mi viene da definire, spudorata.
In "La vita come un romanzo russo" che insieme a " Vite che non sono la mia " non raccontano di personaggi storici o viventi ma sono autobiografici, l'impressione che accompagna il lettore è quella che per l'autore la scrittura e la sua vita non esistano singolarmente, separate l'una dall'altra. Quello che la maggior parte delle persone tenderebbe a tenere nascosto, i momenti di depressione, le paure, i fallimenti sentimentali, i rapporti spesso dolorosi e complessi con le donne, a partire da quelli privatissimi con la propria madre, le crisi personali ma anche i successi sono esposti, ma non fintamente, come ormai è abitudine fare sui social network, ma in modo consapevole, come a dire al lettore " Non mi nascondo, non mi risparmio, tu mi concedi il privilegio di diventare mio lettore, in cambio ti racconto di me come se tu fossi il mio migliore amico, il mio confidente".
Così accade in questo romanzo in cui Carrère, con onestà e in modo faticosamente veritiero racconta gli avvenimenti di un periodo della sua vita, i suoi tormenti amorosi e la dolorosa discesa in un segreto familiare che affatica i rapporti tra lui e la madre.
Dopo aver terminato di scrivere "L'avversario", che lo aveva portato in contatto con la reale lucida follia di Jean-Claude Romand, condannato all'ergastolo per aver ammazzato moglie, figli, genitori (e il cane) per paura che scoprissero la finta identità su cui aveva costruito la sua vita, lo scrittore cerca di dimenticare quell'orrore e la fine del suo matrimonio attraverso l'amore per Sophie, una giovane donna per cui prova una fortissima attrazione sessuale ma la cui appartenenza ad un livello sociale e culturale diverso dal suo, lo imbarazza." Su questa faccenda sociale che ci avvelena mi dico e le dico una cosa un po' ipocrita. Dico che non è un problema mio, ma suo. (...) Ovviamente non è così."
Nello stesso periodo, inquieto, decide di andare a girare un documentario in uno sperduto paese russo nel tentativo di recuperare le radici della famiglia di sua madre e rappacificarsi con una storia che, come dice a sua madre " Ha ossessionato la tua vita, perciò ha ossessionato la mia, e se si va avanti in questo modo ossessionerà e distruggerà i miei figli, i tuoi nipoti".
Con il suo modo di scrivere diretto, coinvolgente, che nasconde anche un po' di esibizionismo (che fa il pari ad un po' di voyeurismo di noi lettori) l'autore sembra non risparmiarci nulla dell'inferno della fine di questo amore e della resa dei conti con il suo passato familiare. Sembra.
Ma a noi, lettori consapevoli, non devono sfuggire due considerazioni.
La prima è che nella natura umana cercare di mostrarsi agli altri migliori di quello che siamo, tanto più per uno scrittore che spudoratamente ammette (ed è per questo che lo adoro) "che dipendo così crudelmente dallo sguardo altrui".
Inoltre lo scrittore, quello vero, come tutti gli artisti, parte da un'idea ma ciò che poi produce, l'opera letteraria, prende vita propria, diventa qualcosa di diverso da ciò che si era prefissato. In questo sta la diversità dell'artista dall'artigiano.
Nelle pagine de "La vita come un romanzo russo", secondo me,  Emmanuel Carrère ha usato contemporaneamente sia la sua onestà, che lo ha spinto a svelarsi, sia ha subito la forza opposta, la paura del giudizio altrui. 
Ciò che le ha amalgamate è la forza dell'arte attraverso la quale l'opera, la letteratura prende una sua vita che prescinde dagli intenti di chi l'ha scritta.
Sara Merighi

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