20150122

LA SVIZZERA di Paolo Nori - Recensione di ANTONIO OLEARI


Può capitare di leggere un libro senza mai uscire da quello che è il set in cui quella storia è ambientata. Come il signor Incerti, uno che ha riparato biciclette per tutta la vita, anch’io sono appena rientrato a casa, ho poggiato le borse della spesa, sono in cucina da solo, davanti al tavolo. Però a differenza dell’Incerti io non ho di fronte a me un registratore a cassette dentro cui parlare. Ho un libro, che riporta nero su bianco tutto quello che l’Incerti ha per l’appunto detto dentro a quel registratore lì. Squilla il telefono, ci interrompiamo, poi riprendiamo: io a leggere, l’Incerti a parlare. Ogni tanto ci alziamo, facciamo due passi intorno al tavolo per sfogare il nervoso, poi torniamo a sederci sulla medesima sedia. Ha aspettato trent’anni, l’Incerti, per dire le cose che mi sta dicendo. Non è che parli come un libro stampato, anzi, ha sempre riparato le biciclette, il tempo per studiare non ce l’aveva. Però ha una gran memoria, questo sì: passa di qui e di là, ma si ricorda tutto. Del Giannasi, della sua Germana, del treno, dei carabinieri, delle sale da cinema, delle gru davanti casa, di somiglianze inaspettate. All’inizio mi sembra di non capirci niente, invece poi tutto trova un senso. Ho davanti un’esistenza, la storia di un matrimonio e di come vanno a finire alcune cose della vita. A tratti mi pare un film di Virzì. La provincia italiana, dico, e i rapporti tra le persone, le faccende complicate che trovano una soluzione giusto in tempo, poco prima della fine. E allora tutto mette commozione. In questo lungo flusso di coscienza, in una confessione-fiume dettata a un registratore (perché a scriverle certe cose non riesci a dirle) io riconosco l’atto estremo di un padre. E quando arriviamo alla fine, io e l’Incerti, ci siamo tolti un gran peso. Come quando devi partire per un posto lontano, chessò, la Svizzera, e ti accorgi di aver messo ogni cosa al suo posto.

P.s.: Paolo Nori, quello che ha messo in piedi tutta questa faccenda, scrive come sanno fare in pochi. Usa la lingua italiana per quello che è: una cosa che se ci togli la grammatica, ti dice tutto ugualmente. Mi piacerebbe che la leggesse lui, questa storia. Che facesse lui la parte dell’Incerti. Glielo chiederò la prossima volta che lo incontro. Potremmo fare da me, in cucina, dopo aver poggiato le borse della spesa, davanti al tavolo, con il telefono che squilla ogni tanto.

P.p.s.: “La Svizzera” è il risultato di un lungo lavoro dell’autore sopra un monologo precedentemente inserito nel romanzo “A Bologna le bici erano come i cani”. Lo devono leggere quelli che gli piace Paolo Nori, oppure quelli che non lo conoscono e vogliono fare come i gamberi.


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