20091004

VALERIO GAETI "costellazioni" Teatro Sociale Como Via Bellini, 3



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Valerio Gaeti, scultore di origini mantovane, trasferitosi a Cantù frequenta l'Istituto d'Arte, seguendo l'insegnamento di Giuliano Vangi.
Termina i propri studi artisti all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove successivamente diviene docente in Disegno nel dipartimento di Design.
Note critiche a cura di Gillo Dorfles
L'amore per il legno e per il midollino - dunque per due materiali vegetali e naturali, che conservano nelle loro fibre qualcosa della qualità “germinativa” - ha fatto sì che Valerio Gaeti fosse sempre attratto dalla particolare costituzione organica di questi materiali e ne divenisse, non certo succube, ma piuttosto sensibilissimo interprete.
E' forse per questa ragione che, già in una precedente fase del suo lavoro, l'artista avesse tentato di “zoo e atropo morfizzare” i suoi prodotti lignei creando una serie di mobili che spesso si concludevano con volti e appendici umane o animalesche, rasentando alle volte, pericolosamente, una situazione sospesa tra surrealtà e fantascienza.
Oggi, invece, Gaeti si è impegnato con maggior coerenza e vigore e con risultati senz'altro sorprendenti, nella realizzazione di opere – sculture o oggetti d'arredamento, maschere o simulacri – in cui l'organicità del medium raggiunge un'insolita efficacia espressiva.
Ecco, ad esempio, la serie dei “bozzoli”, delle “crisalidi”, dei “millepiedi”: sagome che ricordano le forme naturali rese più elementari e incisive dalla lavorazione del legno, dall'intreccio delle fibre vegetali.
Forme sempre abbozzate, asimmetriche, lontane da ogni meccanicità; forme, dunque, che fanno pensare alle “Urformen”, alle forme archetipe di goethiana memoria ( forse le Urpflanze, la pianta primordiale ipotizzata dal grande poeta tedesco, era proprio simile a questi “embrioni strutturali” di Gaeti).
Ma, accanto alle silhouettes cupe e decorative di animali fantastici, Gaeti ha anche costruito dei “bozzoli”, dei “pupari”, delle “capanne zoomorfe”, sorta di “contenitori” sempre costruiti con l'intreccio delle fibre, che si possono anche considerare quali autentici “oggetti d'uso” da appendere alle pareti, da usare come ricettacoli di cose o di idde.
E tali contenitori hanno trovato anche una loro traduzione metallica in alcuni oggetti in rame come Il vaso della storia, il corpo vaso o altri oggetti per la decorazione del corpo.
Ma dai contenitori in fibra di midollino il passo è stato breve per giungere a quelle che sono forse le invenzioni più curiose e insolite dell'artista: Lo sciamano, L'autoritratto da indossare, Il cappuccio del pazzo .
Sono grandi costruzioni “da indossare” come maschere, o come abiti cerimoniali di qualche rito barbarico, che, da un lato ricordano certe maschere folkloristiche sarde o africane, dall'altro si rifanno alla celebre Narrenkappe, il cappuccio dei giullari rinascimentali sotto la cui protezione il buffone di corte era protetto da qualsiasi punizione e poteva sbeffeggiare il padrone, il tiranno, appunto perché difeso dalla mascheratura della pazzia.
Ritengo tuttavia, proprio per passare da questa accezione eroica e paradossale ad una molto più fattuale e funzionale, che alcune delle creazioni di Gaeti, possono costituire un esempio eccezionalmente appropriato per il rilancio di un artigianato autonomo che sia in sintonia con le tendenze dell'arte attuale e, al tempo stesso, recuperi certe tecniche e certe valenze espressive del passato.
Ne sono esempi significativi alcuni oggetti (scudi, cesti, capanne) che mostrano come l'uso tecnicamente appropriato del legno e delle fibre vegetali possa portare alla realizzazione di opere capaci di reggere il confronto di quelle concepite con materiali artificiali e ad alta tecnologia, attraverso la dinamica che – dalla natura rettamente interpretata – viene trasmessa ad ogni operazione compiuta dall'uomo.

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