20150114

LA VITA DAVANTI A SE' di Romain Gary recensione di Sara Merighi

LA VITA DAVANTI A SE' di Romain Gary
Editore Neri Pozza

Ci vorrebbe un libro solo per raccontare la vita di Romain Kacev, scrittore, diplomatico, intellettuale, regista e sceneggiatore di origine ebree russe, che è poi il vero nome di Roman Gary. Per avere solo un'idea della sua personalità è sufficiente raccontare che tra i più di trenta libri che scrisse, tra fantascienza, sceneggiature, racconti, solo per uno di essi utilizzo' il suo vero nome. La maggior parte furono pubblicati con lo pseudonimo Roman Gary, uno con quello di Fosco Sinibaldi, uno con quello di Shatan Bogat e, solo dopo la sua morte, avvenuta per sua propria mano nel 1980, si scoprì che altri quattro libri di grande successo, tra cui anche "La vita davanti a se'", pubblicati con il nome di Emile Ajar, erano, in realtà', suoi. Romain aveva, infatti, convinto un suo cugino ad attribuirsi la paternità dello pseudonimo Emile Ajar e a sostenerlo davanti a giornalisti e ad ammiratori.
Personalità complessa, uomo tormentato, marito della bellissima attrice Jean Seberg, Romain Kacev ha nell'ironia e nella ricerca del paradosso le sue armi di difesa dalla vita : "Il più grande sforzo della mia vita è quello di riuscire a disperarmi veramente. Niente da fare. Resta sempre in me qualcosa che continua a sorridere".( La promessa dell'alba)
Protagonista e voce narrante del romanzo "La vita davanti a se'" è Momo', bambino mussulmano cresciuto da Madame Rosa, una vecchia prostituta ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento che, raggiunti i limiti d'età, si guadagna la vita allevando i figli che le prostitute, per legge, non possono riconoscere.
Nel personaggio di Momo', a cui la vecchia Madame Rosa è particolarmente affezionata  e che fa da fratello maggiore a tutti gli altri bimbi, che, per periodi più o meno lunghi, vivono con lei, lo scrittore riesce a sommare l'arguzia e l'ingenuità di un bambino, quasi adolescente.
" Quando per uno di noi finivano di arrivare i vaglia, Madame Rosa non sbatteva fuori il colpevole. Era il caso del piccolo Banania, suo padre era ignoto e non gli si poteva fare nessuna colpa; sua madre mandava un po' di denaro ogni sei mesi, quando andava bene. Madame Rosa sbraitava a Banania, ma lui se ne fregava perché aveva solo tre anni e dei sorrisi. (...). Toccava a me portare Banania nei pensionati africani di rue Bisson perché vedesse del nero, Madame Rosa ci teneva molto." Bisogna che veda del nero, se no, più tardi non lega con loro".
Momo' cresce tra prosseneti, prostitute, travestiti e povera gente di ogni religione e nazionalità in un quartiere popolare di Parigi, rendendosi conto che più la gente è umile ed emarginata, più i loro dignitosi insegnamenti lo fanno crescere. 
Quando Madame Rosa, obesa, quasi calva ma ancora vanitosa, malata, non riesce più a salire i sei piano di scale che portano al loro appartamento, Momo' prima la rifiuta e la schernisce. Poi si accorge che la mamma che aveva sempre cercato e desiderato non era quella biologica ma colei che per tanti anni aveva fatto del suo meglio per insegnargli ad affrontare la vita senza rancore. E la accompagna sino alla fine.
" Pensavo a tutte queste cose guardando Madame Rosa mentre la sua testa se n'era andata a spasso .(...) Le accarezzavo la mano per incoraggiarla a ritornare e non l'ho mai amata più di allora perché era vecchia e brutta e tra poco non sarebbe più stata una persona umana".
Sara Merighi

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