20141214

IL GIOVANE HOLDEN di J. D. Salinger - Recensione di STEFANO BRENNA




AMORE, NOIA, FIGHETTI E COMPAGNIA BELLA. OVVERO: LUNGA VITA A HOLDEN!


Forti disagi a New York City: da Central Park South alla Novantesima; tra Broadway e la Grand Central Station. Ex compagni, ex professori, ex fidanzate e un macigno da portarvi in giro in un tour forzato al di qua dell’East River. Difficile far quadrare le cose, dopo che avete pomiciato per ore con una certa Anne Louise Sherman ("ipocrita pazzesca") e per telefono avete cercato la voce giusta (che, per inciso, non avete) in quanto convinti di chiudere in bellezza anche con Faith Cavendish: probabile spogliarellista, basso profilo morale, amica di tale Edmund, o forse Eddie (o Edward?), di Princeton (nel senso dell'Università di), che in ogni caso vi darà buca. Provate, voglio dire, a fare i conti con voi
stessi, le vostre valigie e il vostro segreto in una sera pre­natalizia (venerdì, tra l'altro) in cui l’unica topaia che vi compete è il Lavender Room (papponi e zoccole in salsa jazz). Provate, mettiamo, a ordinare un whisky e soda con l’anagrafe che trasuda un’età lontanissima dai ventuno, costringendovi a ripiegare su una Coca­Cola no­alcol e a ballare sulle note di Just One of Those Things strombazzata da Buddy Singer e dal suo gruppo sfigaticcio. Sono gli anni Cinquanta, del resto: Cole Porter ha fatto il suo tempo, l’America tocca il cuore dell’Europa, Madison Avenue solletica gli umori dei baby boomer, la cortina di ferro ancora non si è spinta fin lì (fino al Golfo del Messico, intendo) e nel tempo libero si va in giro con addosso abiti di flanella e quadretti giusto per darsi un’aria da Yale, Harvard o West Point. West Point, giusto, come il cadetto rompipalle di cui vi ha parlato la vecchia Sally Hayes: che in realtà è giovanissima, parla un sacco, e vi ha appena detto "Ok, vediamoci". Domenica. Biltmore. Due in punto. Lì, sotto l’orologio. Ma Sally è in ritardo e al suo posto c'è "un milione di ragazze sedute e in piedi che aspettano di veder arrivare quello con cui avevano appuntamento”. Ragazze con le quali, in casi del genere, potreste anche essere più precisi: “ragazze con gambe pazzesche, ragazze con gambe orrende, ragazze che dovevano essere ragazze stupende, ragazze che dovevano essere stronze”. Il punto è che quasi tutte loro, prima o poi, sposeranno un cretino: di quelli che se la prendono un sacco se li batti a golf, "di quelli che non leggono mai un libro", di quelli noiosissimi, di quelli che da queste parti annegherebbero nel "fighettismo"più becero. Ma non voglio perdere il filo. Sally arriva, in taxi vi spetta un "corpo a corpo incredibile", in teatro uno spettacolo così così e al Radio City una pattinata sul ghiaccio che non dimenticherete facilmente: colpa del suo vestitino o del fatto che avete una voglia assurda di sposarla. Conoscete un tizio al Village che vi può prestare una macchina e con quella macchina potreste portare la vecchia Sally lontano: prima Massachusetts, poi Vermont. Campeggi, case di legno, ruscelli. Finire i soldi, trovare un lavoretto e cose del genere. Dite la verità, non ci avete mai pensato?
Ho letto per la prima volta Il giovane Holden nel 1993 (o forse era il '94): tempo di slakers e del Girl Power, tempi in cui le charts davano spazio ai Take That tanto quanto ai Nirvana e ai Soundgarden; tempo in cui Cameron Crowe firmava commedie come Singles e la disaffezione tra gli under 18 si faceva sempre più concreta. Pochi progetti, poche idee, scelte scolastiche improvvisate e un unico topos: quello romantico del perdente, che riassumeva molto bene la sconfitta costante che il post college impone a chiunque, al netto ovviamente di fondi fiduciari tutt'altro che esigui. Emblematica, in tal senso, la scelta di Damon Albarn (Blur) di presentarsi sul palco degli MTV Europe Awards sorretto da un bastone. Tra parentesi, prima di essere Blur i Blur erano i Seymour: diretta citazione di Seymour: An Introduction, sempre di Salinger. E altrettanto emblematica la scelta di Bertolucci di rileggere il mito della controcultura facendolo ricadere su una "generazione X" forse ancora ispirata, forse ancora innocente ma comunque sola (Stealing Beauty, 1996). E se da un lato Brandon Walsh si dava da fare per convincerci di come anche chi arriva dal Minnesota può farcela a Beverly Hills, dall’altro Dylan McKay riallacciava i rapporti con una società svuotata di qualunque principio, e in più si baciava Brenda (cosa che mi rendeva parecchio geloso). Insomma, in un momento in cui ci nutrivamo di immagini e suoni, e nessuno aveva l’X Factor, la lettura di Salinger rafforzava la nostra indignazione (parolona) verso tutto ciò che trovavamo "brutto e incomprensibile” del mondo degli adulti (che stavamo per vivere).
Pubblicato nell’estate del 1951, Il giovane Holden è subito coperto da critiche: per Mary McCarthy è finto, per Maxwell Geismar è semplicemente triste. Cinque pagine sul New Yorker cambieranno le cose, una copertina del Time, dieci anni dopo, farà il resto. Oggi, con la bella traduzione di Matteo Colombo, Holden continua a parlarci e a rendere spassosi i suoi momenti di noia: quando vede gente che da Seattle viene a NYC per uno spettacolo alla Radio City Music Hall, quando vede gente mettersi elegante per andare al cinema, quando vede gente che compra un’auto e subito pensa a un altro modello, quando sente gente esprimere i propri commenti ad alta voce, fuori dal teatro, per rendere pubblica la propria intelligenza. Se non siete mai stati “lì lì per baciarvi” con qualcuno di speciale (che poi magari avete ritrovato solo su Facebook) non c’è verso che questa storia possa piacervi. Se invece le incertezze, l’amore, la noia e compagnia bella sono temi su cui tornate spesso, buttatevi (o ri­buttatevi o ri­ri­buttatevi) nel fantastico mondo di Salinger. A pochi giorni da Natale, sarebbe perfetto.

Riferimenti:
Il giovane Holden
di J. D. Salinger
trad. Matteo Colombo
Einaudi

Recensione di:

Stefano Brenna, 36, copywriter, ha pubblicato Woody Allen. Guida a un uso responsabile (BookTime, 2011) e A letto con David. Sogno e incubo nel cinema di Lynch (BookTime, 2012). Non c'è problema, micro­racconto di vaga ispirazione "holdeniana", è apparso nel 2005 sulle pagine del Corriere della Sera (Vivimilano).

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