20151129

SCONTRO DI CIVILTÀ PER UN ASCENSORE A PIAZZA VITTORIO Amara Lakhous Edizioni e/o recensione di Sara Merighi

Su una sola cosa  tutti gli abitanti del condominio in piazza Vittorio sono d'accordo: Amedeo non può avere ucciso Lorenzo Manfredini, detto il Gladiatore.
Non Amedeo," buono come il succo di un mango", "un guaglione elegante e rispettoso", lui che tutti riesce a capire e tanti prova ad aiutare.
È solo Amedeo che riesce a mettersi nei panni di Parviz che è dovuto scappare dall'Iran, non ha più notizie di sua moglie e dei suoi figli, e si è cucito la bocca, non in senso metaforico, quando le autorità italiane non gli hanno creduto e gli hanno negato lo status di rifugiato politico.
Ed è solo lui che riesce a capire la frustrazione di Iqbal, a cui dei burocrati superficiali e menefreghisti hanno scambiato, sul permesso di soggiorno, il nome con il cognome, rifiutandosi di correggerlo, sovvertendo, così, non solo la tradizione bengalese ma togliendogli quel poco di identità che, insieme alla sua religione, lo tenevano legato, lì a Roma, in quel palazzone di Piazza Vittorio, al suo paese d'origine.
Ed è ancora Amedeo che rassicura Maria Cristina Gonzalez, chiusa in casa, senza permesso di soggiorno, a badare ad un'anziana non autosufficiente, e il cui unico legame con il Perù sono le telenovelas alla tv e la cui unica distrazione è il cibo.
La convivenza, come l'amore, è sempre un equilibrio precario e non è una questione di tolleranza. Amedeo non tollera ma capisce, ed è molto diverso, perché la tolleranza ha dei limiti, la comprensione non ne ha. 
La convivenza richiede anche empatia, che deriva dal greco empateia, en - dentro e pathos - dolore, sentimento.
E Amedeo, empatia, ne ha persino per Benedetta, la portiera napoletana, la cui maggiore preoccupazione è controllare che l'ascensore sia usato con cura dagli inquilini e che, sebbene si rifiuti di accogliere il saluto di Paviz, e non voglia vedere la disperazione della povera Maria Gonzalez, sente comunque sgretolarsi le sue certezze: "(...) ma se Andreotti se la faceva con la mafia, questo vuole dire che ho votato per la mafia e non me ne sono accorta? Questo vuole dire che la mafia ha governato l'Italia per decenni?"
I giornalisti dicono che Amedeo non è italiano. Lui che parla l'italiano meglio di Gennaro, discetta di commedia all'italiana con Johan Van Marten, lo studente olandese, tifa per la Roma nel bar di Sandro Dandini, lui che alle spalle ha una storia di dolore, prevaricazione e morte eppure non solo riesce a tenere a bada quella bestia ululante che è il dolore ma riconosce e rispetta quello degli altri.
Non è possibile che abbia ucciso qualcuno...
Amara Lakhous, scrittore e antropologo algerino trapiantato in Italia, non poteva meglio rappresentare, in questo immaginario, ma neanche troppo, condominio di piazza Vittorio, le barriere culturali e le dinamiche, anche le più banali e spesso amaramente divertenti, che rendono faticoso il vivere insieme.
La verità è che nessuno, italiano o straniero, è migliore o peggiore per motivo della sua provenienza, della sua religione o per le sue abitudini. 
Il problema, forse, è un altro, è l'identità, il Super- Io di ogni popolo.
Forse tutto sarebbe più semplice senza l'identità: "È meraviglioso potersi liberare dalle catene dell'identità che ci portano alla rovina. Chi sono io? Chi sei? Chi sono? Sono domande inutili e stupide."
E forse anche la felicità sarebbe più facile da raggiungere, lasciandosi la propria identità alle spalle: "La gente felice non ha età né memoria, non ha bisogno del passato". Chissà se israeliani e palestinesi un giorno se ne renderanno conto.
Sara Merighi

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