20150807

UNA NOTTE SOLTANTO, MARKOVITCH di Ayelet Gundar-Goshen - Recensione dio Sara Merighi

UNA NOTTE SOLTANTO, MARKOVITCH
 Ayelet Gundar-Goshen
 Giuntina editore

Da cosa si giudica il talento nello scrivere un romanzo? 
Dalla fluidità nel raccontare, dall'ironia, dalla capacità di creare e descrive personaggi che sembrano in carne e ossa, dal padroneggiare gli intrecci del racconto, dal riuscire a mostrare la magia di ciascun destino?
O il talento nello scrivere non si può codificare ma si intuisce dal fatto che dopo aver letto le prime due pagine di un libro un sorriso ti compare sul viso, una leggerezza ti prende l'animo e sei contenta di aver un luogo, quel romanzo, dove avrai voglia di tornare per i giorni successivi?
Non saprei dirlo. 
In "Una notte soltanto, Markovitch" edito da Giuntina e scritto da una giovane autrice israeliana di appena 32 anni, Ayelet Gundar-Goshen, tutte queste caratteristiche le si trovano insieme.
Come nella "Casa degli spiriti" e in "Cent'anni di solitudine" il racconto della Gundar-Goshen abbraccia non una individualità ma un'intera comunità e non una sola vita ma più generazioni, mostrando come i disegni del destino quasi mai si esauriscono nel tempo di una vita e come le vite di tutti gli uomini e le donne fanno parte di un racconto più vasto.
Quelle di Yaakov Markovitch, di Zeev Feinberg, di Sonia, di Bella dei loro figli e degli altri abitanti del villaggio in terra d'Israele, cioè in quello che allora non era ancora lo stato israeliano ma un protettorato inglese, si intrecciano con la nascita dell'antisemitismo in Europa, con la Seconda Guerra Mondiale e la guerra di Indipendenza di Israele stesso.
Sono storie di amori lunghissimi, di traumi, di guerra, di sensi di colpa, di atti di eroismo, di passioni e di matrimoni infelici e ineluttabili. 
Come quello di Rachel Mandelbaum. Scappata dall'Europa perché inseguita dal "rumore di cranio fracassato" di un vecchio ebreo che alcuni ragazzini in una strada di Vienna si divertivano a torturare, e raccolta, al suo arrivo al porto di Haifa, da un macellaio stanco della solitudine, che ne fa sua moglie.
"Nel suo abito verde gli pareva una bottiglia buttata in alto mare e rigettata sulla spiaggia; lui, l'unico superstite, l'avrebbe raccolta e ne avrebbe letto il contenuto. La portò a casa e la sposò, ma non riuscì mai a decifrarne il contenuto". 
O come quello di Bella Seigerman, giovane donna di una bellezza paragonabile ad una dea dell'Olimpo, amante della poesia e dei poeti, che, per scappare dall'Europa, accetta di sposare, in un matrimonio che doveva essere fittizio e temporaneo, il mediocre e anonimo Yaakov Markovitch a cui sara' poi obbligata a rimanere, infelicemente, legata tutta la vita.
"Yaakov Markovitch accese la stufa a petrolio, convinto che si sarebbero riscaldati. Sbagliava. Dal momento in cui Bella fece il suo ingresso in casa di Yaakov Markovitch il gelo vi regnò sovrano".
L'autrice, attingendo probabilmente anche da racconti tramandati, interpretandoli e arricchendoli grazie ai suoi studi di psicologia riesce a rendere i personaggi vivi, realistici e nello stesso tempo magici.
Così come nei libri di Marquez, dell'Alliende, di Jorge Amado, della Mastretta anche in "Una notte soltanto, Markovitch" la magia emerge perché i personaggi non filtrano la vita e la realtà solo attraverso la cultura e la razionalità, ma sono ancora guidati dalla passione, dall'immaginazione, dal rapporto stretto con la natura e con la propria spiritualità. 
E forse un po' di magia  è in effetti necessaria sia nella vita sia nella letteratura quando l'orrore sembra impossibile da debellare.

Sara

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