20150426

Sándor Márai LA DONNA GIUSTA, Adelphi Edizioni - Recensione di Valentina Pellizzoni


Uscito nel 1941, questo romanzo narra l'amore.
Diviso esattamente in due metà, la prima ha come voce narrante la moglie, la seconda il marito.
Il libro si apre con la donna che incontra in una pasticceria, per caso, il suo ex marito e così comincia a narrare all'amica con cui si accompagna, la storia del loro amore.
Lei è totalmente innamorata di lui, ancora, e lo si capisce fin dalle prime parole. Mestamente narra da lontano di un uomo che ha amato alla follia, invano. Racconta del figlio che ha avuto per tenerlo al suo fianco: “Vivevamo grazie alla vita del bambino, e lottavamo l'uno contro l'altro. Lottavamo con passione e in silenzio, con il sorriso sulle labbra, scambiandoci cortesie.”
E poi inizia a narrare del dolore della lenta perdita, affonda con le mani in quel magma oscuro e lo racconta: “Nella vita ci sono momenti del genere, in cui si prova una sorta di vertigine e si vede tutto con assoluta lucidità: si riscoprono energie e potenzialità nascoste e si comprende perché si è stati troppo codardi o troppo deboli. E sono i momenti in cui la nostra vita cambia”.
La donna racconta di aver capito che nel cuore del marito c'è un'altra donna, quella giusta, che non è lei. E la coppia cerca di lottare per tenere unito il loro legame, con tutti i mezzi, ma è impossibile, “è come se qualcuno, con i più svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere”.
Poi inizia il racconto del marito.
La narrazione tutta cambia, il tono, il modo di raccontare.
Se prima il discorso era interamente incentrato sull'amare, in lui emerge l'insoddisfazione di far parte di un ceto borghese in disfacimento, alle porte della seconda guerra mondiale. Racconta la stasi, e l'amarezza e l'impossibilità di frenare una catastrofe che arriverà. Finché inizia a raccontare l'immenso amore che prova per l'altra donna: “(...) ci vuole un gran coraggio a lasciarsi amare incondizionatamente. Un coraggio che è quasi eroismo. La maggior parte delle persone non sa amare né lasciarsi amare, perché è vigliacca o superba, perché teme il fallimento.”
L'amore è per lui rivoluzione che non per forza si accompagna solo alla felicità, anzi: “Sai, quando ormai non si vuole più nulla per sé, quando non si cerca l'amore per essere più sani,più tranquilli, più appagati, ma si vuole soltanto essere, in modo totale, anche a costo di perire. (…) la passione non ha niente di festoso.”
E il libro avrebbe potuto finire così. Con queste due solitudini narrate.
Invece Màrai dopo la guerra aggiunge un altro capitolo, come se fosse un'urgenza. Come se la guerra avesse cambiato i personaggi.
Il racconto dell'altra. Ma non è un racconto solo sull'amore, lo è soprattutto sulla guerra, quella vera appena passata e quella di lei contro il marito. Penso che le pagine in cui narra la fine della guerra, in cui le persone giravano per le strade stordite, senza più casa, senza sapere dove erano i propri cari, siano tra le più intense che io abbia mai letto. E però anche la guerra può raccontarlo l'amore.

E' un libro molto intenso, che sviscera in maniera a volte brutale la complessità del rapporto di coppia. Eppure c'è anche sempre tra le righe della tenerezza, sia in lei che in lui, e un certo sguardo salvifico su queste due persone alla fine sofferenti.
La domanda che sottende il libro in realtà è molto semplice: esiste la donna giusta?
E quando penso alla risposta, a me piace molto rileggere le parole di lei:
“(...) perché sarà anche vero che quello giusto non esiste e le illusioni svaniscono, ma io lo amo – e questa è un'altra cosa. (…) Insomma, credo che tutto passi, tranne l'amore.”

Valentina Pellizzoni

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